Vorrei raccontare una breve storia.
Quando mi e’ stato proposto di esporre in questo museo, in questa sala ho avvertito una strana sensazione forse basata sul mio ricordo di questo spazio. In effetti dopo la prima visita, la sensazione si rafforzò. Mi ritrovai davanti una sala così carica di storia, di colori, e strutture monumentali, che il pensiero di doverle affrontare mi mise in crisi. Soprattutto non sapevo come reagire all’umidità, che oggi non e’ piu’ visibile, ma che regnava nelle pareti espositive.
La soluzione è stata di accogliere questi elementi prepotenti anziché invaderli creando un dialogo orizzontale e verticale tra questi e le mie opere. D’altronde non è nel mio stile il portare un quadro esterno al contesto ed appenderlo in un chiodo a caso. Così iniziai a ricordare la storia delle cucine. Pensate che qui veniva cucinato 7 volte il cibo che nel palazzo del principe (per persona). E non solo perché’ i monaci fossero degli esseri golosi, ma perché questo per anni fu il laboratorio principale della cucina catanese. Chissà se è proprio qui che i monaci trasformarono la cucina dei dominanti nella cucina catanese. Un lavoro di trasformazione di un prodotto appartenente ad un’altra cultura, armonizzato secondo il gusto locale.
Nelle mie opere ho voluto cogliere questa tensione, così carica di tanti elementi artistici in una spoglia stanza. Non imitando ma idealizzando i colori e le forme, ma soprattutto mie sensazioni di questo spazio.
Così nacquero le opere monocromatiche, bicromatiche, le opere policromatiche, che ad un acuta osservazione rivelano gli stessi pattern e geometrie ridondanti delle maioliche.
“Oggi, al completamente dell’allestimento mi son ritrovato solo in questa stanza, e prima di chiudere la porta ho osservato la sala e questi drappi, e per un attimo ho immaginato di osservare i monaci barocchi, qui a cucinare mangiare ed abitare questo spazio, non girando in tondo ad osservare questi arazzi come facciamo noi oggi, ma ignorandoli, come a volte noi scorriamo davanti ai quadri delle nostre collezioni, e cosi’ in perfetta armonia con queste reinterpretazioni del passato i monaci svolgevano loro attività quotidiane, tanto che ai miei occhi sembrava queste opere fossero state qui appese da sempre. Con questa visione in testa, ho chiuso la porta ed ho aperto gli occhi, poi a casa ho dormito sogni tranquilli. L’equilibro tra architettura, ornamento, pittura e scultura era stato ristabilito.”